Armi di distrazione di massa

26 07 2010

Uno dei temi di cui più volte mi è capitato di parlare è quello dei mezzi di comunicazione di massa, utilizzati come strumento dello sfruttamento e dell’imposizione del pensiero unico.

Che l’uomo-massa fosse forse la più grande e sconvolgente novità che avrebbe portato il Ventesimo secolo agli uomini lo si è capito ben presto.
Comprendere le forme che questo processo di “collettivizzazione della cultura e dell’identità” ha assunto, i mezzi tramite i quali si è sviluppato, le trasformazioni che ha provocato nella società è cruciale per vedere dietro il velo di finzione che si spaccia per essere la più genuina delle realtà.
Omologazione, massificazione, spettacolarizzazione sono parole che spesso ho usato nei precedenti articoli, per cercare di esprimere il degrado e l’impoverimento che investono di questi tempi l’Italia, i paesi occidentali, forse il mondo intero.

La nascita e la diffusione dei mass-media deve certamente essere stata per l’inizio del secolo una rivoluzione schiuditrice di nuove inattese prospettive, da salutare senz’altro con entusiasmo.

Walter Benjamin scrisse una serie di saggi in cui si occupò di delineare la posizione dell’opera d’arte all’interno di questo nuovo scenario, reso possibile soprattutto grazie all’invenzione di avanzati mezzi per la riproduzione delle immagini e per la loro diffusione immediata su scala di massa. Egli scriveva nel 1936:
Rendere le cose, spazialmente e umanamente, più vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima. (…) Ogni giorno si fa valere in modo sempre più incontestabile l’esigenza a impossessarsi dell’oggetto da una distanza il più ravvicinata possibile nell’immagine, o meglio, nella riproduzione. (…) L’adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un
processo di portata illimitata sia per il pensiero che per l’intuizione

Benjamin è una delle figure più originali e profonde del pensiero del Novecento, e spero di avere presto la possibilità di riparlarne.

Nel passo che ho citato egli si muove a partire da una prospettiva marxista (per quanto eterodossa possa poi essere stata la sua posizione). Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa è visto come la rivoluzionaria possibilità per un avvicinamento della realtà alle masse, tradizionalmente escluse dalla partecipazione al mondo dell’arte e della cultura. L’opera d’arte veniva a perdere quell’aura aristocratica che conservava il suo monopolio da parte delle classi elevate, la diffusione della cultura in tutte le case permetteva di sviluppare la coscienza degli individui rispetto alla condizione del loro sfruttamento. Si intravedeva la possibilità, oggi effettivamente realizzabile, per trasformare spettatori passivi in soggetti creativi e attivi essi stessi nella produzione culturale.
Addirittura, in un crescendo di ottimismo quasi ingenuo, la ricezione dell’arte nella distrazione, nella dis-attenzione, quindi la diversione momentanea del pensiero dai suoi percorsi abituali, resa possibile dal cinema (ed oggi in maniera ancor più estrema dalla televisione) è salutata come la liberazione da una schiavitù del raccoglimento e della concentrazione, come uno scioglimento dalle catene della tradizione necessario alla mobilitazione delle masse.

Eppure Benjamin, in questa esaltazione dei mezzi di riproduzione tecnica dell’immagine in chiave politico-rivoluzionaria, sembra dimenticare quello che è uno degli assunti base del pensiero di Marx, cui egli stesso si ispira: padrone e dominatore delle relazione sociali è e sarà sempre colui che è proprietario dei mezzi di produzione. Ed in questo caso, naturalmente, possiamo includere anche quelli di riproduzione.

La comunicazione di massa è una bomba ricolma di potenzialità. Queste potevano essere sfruttate per far saltare in aria il monopolio dei pochi sull’arte, la cultura e l’informazione, per provocare e diffondere consapevolezza e ribellione.
Ma le stesse straordinarie potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione potevano essere ben più facilmente utilizzate da chi di questi mezzi ne era proprietario. O lo sarebbe diventato presto.

Il mondo dell’arte e quello della cultura non sono luoghi edenici. Sono innanzitutto, nel funzionamento della società, fatti economici, merci oggi messe a disposizione delle masse per ricavarne profitto. Per aumentare, alimentare potere.

Il cinema, responsabile secondo Benjamin di una definitiva rottura con il continuum della tradizione, è progressivamente degenerato verso l’affermazione di un’arte ancor più auratica, che però riesce ad avvolgere di aura anche ciò che arte non è, ad esempio con la costruzione del mito hollywoodiano e lo smercio di prodotti destinati al puro consumo.

La sua versione casalinga, la televisione, ha poi clamorosamente smentito qualsiasi ingenua speranza si volesse nutrire per la ricezione nella distrazione. Questa, portata al suo limite estremo nella quotidianità di oggi, con le tv dei salotti perennemente accese e parlanti, si è rivelata la più formidabile arma per addomesticare, reprimere, addormentare la coscienza delle persone e delle masse.

Nessuna scoperta, invenzione, novità è cattiva in sé. Ma nemmeno è di per se stessa un progresso. Finchè la cultura, l’arte, la scienza, la tecnica resteranno assoggettate, come tutto il resto, al dominio assoluto del capitale, esse non saranno mai nient’altro che nuovi mezzi nelle mani dei potenti per la realizzazione dei loro disegni personali: una tensione ininterrotta, infinita, assoluta verso i loro fini privati. Sempre più denaro, sempre più importanza, sempre più potere.

Questo meccanismo, se non vengono alimentate le contraddizioni e gli antagonismi che porta dentro, si dirige necessariamente verso il dominio assoluto di uno, o pochissimi, sul mondo intero.





Dove smaltire le scorie radioattive? Propongo ad Arcore…

27 04 2010

Berlusconi ha annunciato l’inizio della costruzione della prima centrale nucleare in Italia entro tre anni. A parte tutto quello che ci sarebbe da dire sulla scelta di puntare su risorse di energia ormai già superate, sulla loro pericolosità, sul problema irrisolvibile dello smaltimento delle scorie radioattive, sul rifiuto del nucleare espresso dagli italiani nel referendum del 1987, e su moltissime altre questioni, quello che mi colpisce di più sono le parole usate da Berlusconi durante l’annuncio (nel giorno dell’anniversario della catastrofe di Chernobyl… sigh): “Prima di individuare un luogo in cui realizzare una centrale nucleare, bisogna che cambi l’opinione pubblica italiana. Dobbiamo fare una vasta opera di convincimento sulla sicurezza delle nuove centrali. Ne ho già parlato con esponenti della tv di Stato.” (dal Corriere della Sera, 26 aprile)
Tradotto (se mai ce ne fosse il bisogno…): Gli italiani non sono ancora convinti. Dobbiamo cominciare da subito con il lavaggio del cervello. Ne ho già parlato con i miei scagnozzi di Raiuno.

Spegnamo le tv, accendiamo i cervelli.